Ritrovo per
il cinquantennale dell’inizio corso (12 ottobre 1964) ad Aosta alla caserma
“Chiarle” del
37° Allievi
Ufficiali Complemento
Si vis
pacem, para bellum
Se vuoi la
pace prepara la guerra. Anno 1964
Abbiamo
voluto la pace, abbiamo preparato la guerra ma non l’abbiamo usata.
Oggi 2014
nei cortili della vecchia Chiarle possiamo affermarlo.
Cari
“auccini” ora “signori ufficiali” . . . . ma tutto considerato preferisco
ancora “auccini”.
Solo da poco
ho sedimentato tutte le sensazioni piacevoli di quel fine settimana.
Cercherò di
esprimerle ma certo non saranno in ordine (né allineate né coperte).
Già
l’incontro del sabato sera all’ANA di Aosta è servito a “ritrovarci” senza far
tempo ad apprezzare i sapori della cena ma a rivivere alcuni ricordi presto
riportati alla luce dopo decenni.
Il festoso
saluto al capitano Mauro (come lui ci ha raccomandato di chiamarlo) aveva già
saturato il nostro pur grande bicchiere destinato alle emozioni.
La visita al
Castello della domenica, commentata da Mauro nei particolari che più ci avevano
coinvolti all’epoca, ci ha riportato indietro quando i nostri cappelli alpini non
mostravano le ferite del tempo ma solo quelle delle intemperie del momento. Soprattutto la descrizione della parete di roccia
saggiamente scolpita nella roccia con le sue vie segnate ed il ricordo di
alcune imbranature giovanili su quei passaggi più o meno complicati ci ha fatto
riprovare il tatto delle mani su quegli spuntoni.
La foto,
nella stessa posa di due anni prima, è già girata tra tutti noi.
Chi, dotato
di attrezzature all’avanguardia, ne ha beneficiato prima ma poi la sequenza dei
nostri cappelli che completavano i nostri visi è stata dominio di tutti.
Devo ammettere
in prima persona che la presenza di volti e fattezze decisamente femminili, di
leva recente, mi ha piacevolmente sorpreso.
Il passaggio
alla vecchia Chiarle (insisto a chiamarla così) è stato il classico tuffo nel soffice
e gradevole passato.
Abbiamo ascoltato
la pacata descrizione della vita di una caserma di oggi.
Ma.
Ancora con
una visione personale mi sono affluiti tanti episodi ed aneddoti.
Alla
rinfusa.
Un Karl Trojer
che non avendo ancora memorizzato gli orari di libero . . . rientro serale si
guadagna un CPS di una notte con conseguente insonnia e mancato riposo prima di
una giornata dedicata ad un “percorso di guerra” mal costruito tale da
procurargli una caduta con ferita alla gamba successivamente mal curata da un
giovane e poco esperto giovane dottore.
Un Paolo
Adami presentatosi ancora in abiti civili con barba più o meno incolta con la
pretesa, subito negata, di mantenersela sul volto.
Un Sandro D’Onofrio con un paio di ray-ban a mo’
di “american marine” costretto a rinunciare ad un troppo evidente simbolo
distintivo.
Ma anche un
Paolo Stella, costantemente acciliato in
volto per la costrizione ad un periodo “inutile” sotto la naja dopo una
laurea conseguita per iniziare una carriera, che al momento del giuramento
sbottò in un “mi vengono i brivido dall’emozione”: io stesso lo sentii.
Per non
parlare dell’allora sergente Paola che con le sue lunghe mani riusciva a
scoprire la polvere nei posti più impensabili pur di punire l’allievo di turno
addetto alla pulizia delle camerate. Dimostrando ben poca comprensione. Ma in
quei tempi e luoghi la comprensione non era prevista.
E che dire
di quella inoffensiva bomba a mano S.R.C.M. che, in fase di esercitazione,
Franco Borromeo non riuscì a lanciare oltre i piedi del nostro istruttore cap.
Spreafico giustificandosi dicendo “ma noi non siamo abituati a lanciare i
sassi”.
E poi delle
abusate sacche costruite con le lenzuola.
Ed i
famosissimi cubi costruiti con vestiario e biancheria ai piedi della branda.
Mi risuonano
negli orecchi i colpi di bacchetta di cap. Spreafico vibrati sulla scrivania
nel corso di lezioni in aula rese difficili da effetti postprandiali.
E quel forte
e rumoroso saluto militare “attenti a” ordinato dall’allievo Carlo Heichele in omaggio
ad una bella ragazza sull’uscio della palazzina comando . . . . costato al
comandante del plotone in libera uscita
una punizione (mai scontata perché il suo cognome non era stato ben compreso
dall’ufficiale di picchetto), la rinuncia all’uscita e soprattutto, a
posteriori in quanto quella ragazza è tuttora la moglie di Alberti, il
fatto che la destinataria del saluto non
aveva capito cosa era successo.
E che dire
del viso di quello di noi che al poligono tiro, dopo avere esploso un colpo col
bazooka, si ritrovò trasformato in una maschera puntinata di pezzetti di
plastica dei fili elettrici incombusta per la bassissima temperatura di quella
mattinata. Il secondo proiettile non fu fatto partire.
E quegli
scarponi irrigiditi dal gelo dopo la notte in “truna” al colle San Carlo
sciolti solo con il successivo uso nel corso della marcia successiva.
Una delle
foto del sito riporta il finale dell’ultimo pranzo alla Chiarle alla fine del
quale gli ufficiali accettarono un elenco di spiritose “punizioni” a loro comminate
dagli A.U.C.
E poi la
destinazione ai Battaglioni.
Leggo ancora
la busta contenente la nomina ad ufficiale su cui il mio nome era preceduto da
“N.H.” nobil homo ben sapendo che non era una promozione alla nobiltà (non era
stata materia di studio del corso) ma considerato uno stimolo ad usare una
delle caratteristiche di quel titolo: la generosità da usare nel nostro
successivo futuro.
Ho parlato
in prima persona nella pura convinzione di parlare per tutti noi.
Il tempo
della nostra visita alla Chiarle scorre
lento (o veloce) mentre controlliamo la presenza del palo della bandiera le cui
radici immaginarie non gli hanno consentito uno spostamento e neppure la mensa
e la palazzina delle camerate e quella del comando e tanti altri particolari
architettonici: rimasti fermi lì ove erano.
Il pranzo successivo,
suggello normale di un benessere tipico degli esseri umani, ci ha visti in
oltre quaranta ad apprezzare i cibi dell’Etoile du Nord. Accumunando alpini
vecchi (o vecchi alpini ?) con le allora ragazze a cui dedicammo “attenti a” ed
altro. Ma sopra il profumo delle pietanze ed il sommesso vociare dei commensali
hanno prevalso alcune parole a chiusura del ritrovo a ricordo di chi non ha
potuto ma non potrà essere presente.
Abbiamo
deciso che il nostro cap. Spreafico in realtà era e rimane il nostro fratello
maggiore Mauro.
E che le
nostre penne, di qualsiasi colore siano, sono essenzialmente le prime a
spuntare da lontano e quelle che più durano nel tempo.
Franco con l'esercito gentile di nome e di fatto
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